The Blue Lagoon, one of Iceland's most important tourist attractions. Geothermal water that has already generated electricity at the Svartsengi Power Station and has passed through a heat exchanger to provide heat for a municipal water heating system is finally  fed into the lagoon. The water’s high silica content keeps it from leaching into the lava field and gives it an appealing aqua tint.

Guida di sopravvivenza ai cambiamenti climatici

Guida di sopravvivenza ai cambiamenti climatici

Il riscaldamento globale continuerà in quasi tutti gli scenari dell’IPCC: anche nella migliore delle ipotesi è probabile un superamento degli 1.5°

di Verdiana Fronza

La fine di un’era: il rapporto di sintesi dell’IPCC

Il rapporto di sintesi pubblicato il 20 marzo dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, forum scientifico intergovernativo che raccoglie le evidenze dei cambiamenti climatici per raggiungere una posizione condivisa a livello internazionale) è stato definito l’avvertimento finale della comunità scientifica sulla crisi climatica. Si indirizza prevalentemente ai governi e ai policy-makers, ponendosi come vera e propria guida (“di sopravvivenza”, secondo quanto affermato dal Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres) per l’elaborazione di politiche atte a scongiurare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici, che possono essere limitati solo tramite azioni coordinate a livello sovranazionale.

 

Il documento conclude il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6), sintetizzando cinque anni di revisione ed analisi delle evidenze sulle basi fisico-scientifiche del cambiamento climatico, i suoi impatti, le vulnerabilità, l’adattamento e la mitigazione portate avanti dai tre gruppi di lavoro dell’IPCC. A questi si aggiungono i tre rapporti speciali sul riscaldamento globale a 1.5°, il suolo e l’oceano.

 

Quando descrive e quantifica i cambiamenti climatici, l’IPCC usa un linguaggio calibrato basato su due dimensioni, la fiducia e la probabilità. Il livello di fiducia esprime un giudizio sulla validità dei risultati in base alle evidenze disponibili e il grado di accordo scientifico. La probabilità invece viene espressa sulla base di analisi statistiche di osservazioni, di un modello, o del giudizio di esperte ed esperti. È un approccio cauto, adatto alla complessità delle tematiche trattate, ma che riesce comunque a sottolineare l’urgenza dell’azione climatica: nelle 36 pagine del rapporto di sintesi ci sono più di 200 istanze con un livello di fiducia alto (high confidence), che esortano abilmente all’azione evitando toni eclatanti e che potrebbero essere considerati da alcuni come “allarmisti” .

 

I livelli di fiducia e probabilità del linguaggio calibrato usato dall’IPCC per comunicare i suoi risultati. Fonte: ECIU, 2022. 

 

Altra chiave di lettura importante per comprendere i risultati discussi dall’IPCC è l’uso di una matrice di scenari climatici futuri che combina SSP (Traiettorie Socioeconomiche Condivise, che illustrano percorsi di sviluppo socioeconomico alternativi) e RCP (Traiettorie di Rappresentative di Concentrazione, che illustrano l’andamento delle concentrazioni di gas serra per diversi obiettivi climatici, come ad esempio restare sotto gli 1.5°). Ci sono cinque scenari che illustrano futuri a diversa intensità di emissioni: “molto basse” SSP1-1.9, “basse” SSP1-2.6 , “intermedie” SSP2-4.5, “alte” SSP3-7.0 , “molto alte” SSP5-8.5.

 

I dati (e le date) riportate nel rapporto illustrano quanto in fretta si stia chiudendo la finestra di opportunità per rispondere a una minaccia che non è solo ambientale, ma anche socioeconomica. Allo stesso tempo, però, esistono soluzioni concrete per il breve e il lungo termine: si tratta di azioni sistemiche che richiedono uno sforzo eccezionale e concertato, ma che renderebbero possibile un’inversione di rotta se dispiegate nell’immediato. 

 

Insomma, seppur l’intero AR6 si componga di migliaia di pagine, il messaggio che emerge dalla sua sintesi è uno: anche se molti danni sono già stati fatti, è necessario agire subito e in maniera drastica per evitare conseguenze peggiori e irreversibili, e per garantire all’umanità un futuro vivibile su questo Pianeta. Un futuro simile è possibile solo sotto gli 1.5 gradi

 

Un mese dopo l’uscita di AR6, alla vigilia della Giornata della Terra, anche il rapporto annuale dell’Organizzazione meteorologica mondiale conferma che gli ultimi otto anni sono stati i più caldi dal 1850, non facendo altro che andare a sostegno della necessità d’azione climatica imminente sottolineata dall’IPCC. 

 

Ed ecco perché l’AR6 è il nostro ultimatum.

 

Fino a qui non tutto bene: lo stato delle cose sul riscaldamento globale

Il rapporto di sintesi comincia raccontando il qui ed ora del cambiamento climatico, esplorandone le cause e gli impatti osservati, il progresso attuale, le lacune e le sfide nell’adattamento e la mitigazione. 

 

Quali sono i numeri della situazione corrente?

1.1°ecco di quanto si è alzata la temperatura superficiale globale rispetto ai livelli pre-industriali (cioè dal 1850-1900), con un‘accelerazione a partire dal 1970. È l’attività umana la sua “causa inequivocabile” principalmente per via delle emissioni di gas serra dovute, per esempio, all’uso di fonti di energia fossile, al cambio di uso di suolo, e modelli di produzione e consumo insostenibili.
+54%è infatti la crescita delle emissioni globali nette di gas serra di origine antropica rispetto al 1990, principalmente dovute alla combustione fossile, i processi industriali, il metano e la crescita esponenziale nell’uso dei gas fluorurati, usati al posto di sostanze che riducono lo strato di ozono ma con un potenziale di riscaldamento globale 25.000 volte più alto della CO2.
79%di queste emissioni provengono dai settori dell’energia, dell’industria, il trasporto e l’edilizia
22%mentre il 22% dal settore agricolo, forestale e altri usi del suolo

 

Gli efficientamenti attuati non sono bastati per ridurre le emissioni nette che continuano a crescere man mano che aumentano i livelli di attività nei settori a più alta intensità di carbonio.

 

L’innalzamento delle temperature si accompagna a cambiamenti atmosferici, oceanici, della criosfera (la superficie terrestre comprendente le coperture nevose, i ghiacciai, le calotte polari, il permafrost, etc.) e della biosfera (l’insieme degli ecosistemi terrestri). 

 

20 cmè l’innalzamento medio del livello del mare nel periodo fra il 1901 e 2018, con notevoli aumenti nelle ultime decadi.

 

L’influenza umana ha contribuito a questo innalzamento almeno a partire dal 1971, così come all’aumento del pH oceanico (fenomeno anche chiamato “acidificazione degli oceani”) e all’incidenza di estremi climatici quali ondate di calore, siccità, e cicloni tropicali.

 

3.3 – 3.6 miliardiSono le persone che vivono in contesti altamente vulnerabili al cambiamento climatico

 

I cambiamenti climatici hanno causato danni irreversibili sia agli ecosistemi terrestri che acquatici, come le considerevoli perdite di biodiversità o lo scongelamento del ghiaccio perenne. Bisogna però tenere in considerazione che la vulnerabilità ecosistemica e quella umana vanno di pari passo, e quindi milioni di persone sono esposte ad eventi climatici estremi, insicurezza alimentare e mancanza d’acqua. Per regioni come quella africana, asiatica e americana un aumento degli estremi climatici ha significato un aumento delle migrazioni, che potrebbero interessare centinaia di milioni di persone entro il 2050.

 

100%L’aumento delle ondate di calore ha portato alla morte di persone in tutte le regioni del mondo. Aumenti relazionati al cambiamento climatico si sono riscontrati anche per le malattie legate al cibo, l’acqua e ai vettori patogeni. Non sono solo impatti fisici: anche la salute mentale ne risente.

 

Per aggiungere al danno la beffa, le conseguenze della crisi climatica non sono distribuite in maniera equa fra settori e geografie: ad essere più impattate sono le popolazioni già vulnerabili, come i gruppi indigeni, e i Paesi come i piccoli stati insulari dei Caraibi e del Pacifico, così come le donne e le fasce più povere della popolazione. Allo stesso tempo, settori legati alla produzione di cibo ed energia risentono di più dei cambiamenti climatici, e le zone urbane sono particolarmente vulnerabili agli impatti ambientali, infrastrutturali e legati alla salute.

 

Quale mitigazione e quale adattamento?

170Paesi e città hanno già incluso misure per l’adattamento nelle loro politiche climatiche, dimostrando una maggiore consapevolezza dei rischi e degli impatti del cambiamento climatico

 

L’adattamento ai cambiamenti climatici è più o meno efficace in base ai contesti e ai settori di riferimento. Misure basate sugli ecosistemi e la natura, come il rinverdimento urbano, così come opzioni legate a una gestione agricola e del terreno più sostenibili, possono funzionare in certe aree. 

 

Ma lacune e carenze permangono a causa della frammentazione delle risposte e la loro specificità settoriale e geografica. A questo si aggiungono investimenti limitati, un disinteressamento politico e una scarsa mobilitazione civile. 

 

Il divario fra i costi dell’adattamento e le finanze mobilitate si sta allargando e, in generale, a livello sia pubblico che privato si continua a investire più denaro nei combustibili fossili che nell’adattamento e la mitigazione del clima. Nel mentre, nei Paesi “in via di sviluppo” (termine usato dal rapporto) l’adozione di tecnologie a basse emissioni procede a rilento e alcune aree sembrano aver raggiunto il limite all’adattamento,  come le zone di costa bassa e alcuni ecosistemi montani.

 

Per quanto riguarda invece la mitigazione, politiche di efficienza energetica e riduzione della deforestazione hanno aiutato a diminuire le emissioni di gas serra – ci sarebbero evidenze di 10 anni di riduzione assoluta delle emissioni per 18 Paesi. 

 

Le opzioni di mitigazione legate alle energie rinnovabili, l’elettrificazione dei sistemi urbani, la gestione forestale, lo spreco alimentare, fra le altre, stanno diventando sempre più convenienti e supportate a livello pubblico.

 

85%è la diminuzione dei costi dell’energia solare e delle batterie a ioni di litio, 55% dell’energia eolica. 

 

Ma vi è un divario sostanziale fra la riduzione delle emissioni associate all’Accordo di Parigi (NDCs) e lo scenario di mitigazione che secondo l’IPCC dovrebbe limitare il riscaldamento globale a 1.5°C: questo divario renderebbe probabile un superamento della soglia entro il 2100

 

Sarebbe infatti di

2.8 °Cil riscaldamento globale medio senza un aumento delle ambizioni rispetto ai contributi determinati a livello nazionale prima della COP 26.

 

Il grafico illustra le proiezioni per i livelli di emissioni future al 2100 in base alla traiettoria seguita: si noti che limitando il riscaldamento globale a 1.5° si potrebbe raggiungere lo zero netto già nel 2050, mentre con i target dei contributi nazionali (NDCs) si prospettano emissioni di gran lunga maggiori. Fonte:  duegradi sulla base di IPCC AR6 SYR, 2023.

 

Cosa ci aspetta in futuro?

 

Fino a che punto la generazione presente e quelle future vivranno in un mondo più caldo? Le strisce climatiche mostrano i cambiamenti osservati (1900-2020) e previsti (2021-2100) nella temperatura superficiale globale (rispetto al 1850-1900), e illustrano come il clima sia già cambiato e continuerà a cambiare (da azzurro ad arancione) per le tre generazioni rappresentate. Le proiezioni future (2021-2100) sono mostrate per differenti traiettorie di sviluppo, con un riscaldamento sempre maggiore all’aumentare delle emissioni (strisce che diventano sempre più scure). Fonte: duegradi sulla base di  IPCC AR6 SYR, 2023.

 

A breve termine (2021-2040), quasi tutti gli scenari considerati dall’IPCC prevedono che il riscaldamento globale continuerà a causa delle emissioni cumulative: in sostanza, ogni possibile traiettoria, anche quella più resiliente al cambiamento climatico, è vincolata dalle scelte e le emissioni passate, e continua a essere vincolata da ogni futuro riscaldamento.

 

1.5°È quindi probabile che il noto limite dei 1.5° verrà superato anche nella migliore delle ipotesi.

 

Questo implica anche che limitare il riscaldamento della superficie terrestre oggi non basterà a prevenire cambiamenti futuri nelle componenti del sistema climatico che hanno tempi di risposta più lunghi.

 

Secoli e millennidi aumento dei livelli del mare è previsto con un livello di fiducia alto, proprio perché un innalzamento delle temperature degli oceani ha effetti a lungo termine, oltre a generare cicli di retroazione negativi sull’ecosistema marino.

 

Ciò non significa che non ci siano differenze fra le diverse traiettorie che possiamo prendere come umanità. 

 

Per esempio, negli scenari futuri modellati sull’aumento delle emissioni di gas, il livello del mare si alzerebbe fino a tre volte tanto e la capacità di assorbire il carbonio dei pozzi oceanici e terrestri, come le foreste, diminuirebbe fronte a sempre maggiori emissioni. Si raggiungerebbero poi molti tipping points, o punti di non ritorno, che aumenterebbero la probabilità di cambiamenti irreversibili.

 

2-3°di riscaldamento medio comporterebbero la perdita irreversibile delle calotte di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide Occidentale

 

 

Ogni grado in più nella temperatura globale media implica un intensificarsi della frequenza di estremi climatici come precipitazioni, siccità e ondate di calore fino nove volte tanto.Fonte: duegradi sulla base di  IPCC AR6 Climate Change 2021: The Physical Science Basis.

 

Inoltre, qualsiasi aumento del riscaldamento globale comporterebbe maggiori rischi climatici e impatti a lungo termine di molto superiori a quelli osservati fino ad oggi. Anche in questo caso, rischi e impatti ecosistemici e sociali si intensificherebbero sempre di più all’aumentare dei livelli riscaldamento globale, dando vita a una catena di effetti a cascata sempre più difficile da gestire, prerogativa dei sistemi socio-ecologici complessi come quello in cui viviamo. 

 

La cascata di impatti risulterebbe più o meno rischiosa in base alla vulnerabilità e all’esposizione al rischio delle popolazioni e degli ecosistemi. Se, come abbiamo visto, le persone e le aree più vulnerabili sono attualmente più esposte all’impatto del cambiamento climatico, la loro vulnerabilità non farà che aumentare in futuro. Sarebbe il caso delle zone rurali, degli insediamenti informali, delle popolazioni indigene, e di coloro la cui sussistenza è fortemente legata al mantenimento dei servizi ecosistemici. Un futuro oltre gli 1.5°C limiterebbe, per esempio, l’accesso alle risorse idriche per gli Stati insulari. Quindi, anche le capacità di adattamento si ridurrebbero all’aumentare delle temperature.

 

Ancora una volta va dunque sottolineata la distribuzione diseguale dei rischi del cambiamento climatico e la necessità di un adattamento proattivo, sistemico e basato su soluzioni a lungo termine, per evitare di peggiorare l’esposizione e la vulnerabilità al rischio in futuro (lock-in). 

 

Ora è il momento per ridurre sostanzialmente e rapidamente le emissioni di gas serra per evitare – o limitare il più possibile – il superamento dei 1.5°C. Come ha affermato Guterres, l’azione climatica dev’essere “Everything, Everywhere, All At Once”.

 

Lo zero nettodi emissioni di CO2, di pari passo con la riduzione degli altri gas serra, è necessario per limitare l’accumulo in atmosfera e quindi il riscaldamento globale. Le emissioni cumulative determineranno se si riuscirà a rimanere sotto gli 1.5° o 2°.
500miliardi di tonnellate di CO2 è budget di carbonio per una probabilità del 50% di non superare gli 1.5° C. Eppure, livelli di emissioni medie pari a quelle del 2019 comporrebbero l’esaurirsi di questo budget già entro il 2030.
34%è la riduzione di emissioni di metano necessaria per raggiungere lo zero netto. I modelli di traiettorie a basse emissioni includono anche una transizione energetica a fonti a ridotte emissioni o fonti fossili combinate alle dibattute tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio.

 

Superare la soglia degli 1.5°C non vuol dire non poter più tornare indietro, ma i già menzionati circoli viziosi e meccanismi di feedback negativi, come l’indebolimento dei pozzi di carbonio, aumenterebbero ancora di più il riscaldamento e i rischi infrastrutturali, ecosistemici e per le persone, rendendo più difficoltoso il ritorno a una “zona di sicurezza”.

 

 

Cosa fare adesso?

L’ultima sezione del rapporto è dedicata alle risposte immediate e sottolinea l’urgenza di un’azione climatica sistemica “per garantire un futuro vivibile e sostenibile per ogni persona”.

 

La resilienza climatica implica un’accelerazione nell’implementazione di soluzioni di mitigazione e adattamento. Come discusso, più si ritarda l’azione climatica più cresceranno la frequenza e la magnitudine di eventi climatici estremi e i costi dell’inazione, e diminuirà la fattibilità di molte opzioni.

 

Come illustrato nella tabella, molteplici opportunità di risposta climatica, adattamento e mitigazione in ogni settore sono già possibili e potrebbero portare a transizioni sistemiche tramite l’uso di tecnologie a basse o zero emissioni; i cambiamenti comportamentali e socio culturali; la riduzione della domanda; l’efficienza tecnologica; la sicurezza sociale e la fornitura di servizi climatici; la protezione degli ecosistemi. 

 

Settore Risposta climatica – adattamento (esempi)Mitigazione (esempi)
ENERGIADiversificazione energetica, uso efficiente delle risorse idriche in energiaEnergia da fonti rinnovabili
SUOLO, ACQUA CIBOAgricoltura e pesca sostenibili, gestione integrata delle zone costiere, delle zone forestali e della biodiversità, connettività ecologicaLimitazione del cambio dell’uso di suolo, stoccaggio di carbonio in agricoltura, transizione a diete più sostenibili
INFRASTRUTTUREGestione sostenibile del suolo e delle acque urbane, infrastrutture verdiInfrastrutture e edifici efficienti, trasporto pubblico, sistemi di illuminazione efficienti, circolarità dei materiali
SALUTEMiglioramenti nei servizi alla salute, anche mentale 
SOCIETÀ, CONDIZIONI DI VITA, ECONOMIAGestione del rischio, sistemi di allerta rapidi, reti di sicurezza socialeSistemi di riciclo, efficientamento energetico, sostituzione dei combustibili

 

Costi e potenziale di queste opzioni sono differenti. Per esempio, l’energia solare ed eolica e le riduzioni delle emissioni di metano avrebbero un costo limitato (20 dollari per tonnellata di CO2 equivalente). Anche solo tramite le opzioni con un costo di 100 dollari o meno si potrebbero dimezzare le emissioni globali entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Inoltre, seppur  le analisi rimangano limitate, i benefici portati da soluzioni come un miglioramento della qualità dell’aria supererebbero i costi per attuarle (livello di fiducia medio).

 

Dal punto di vista della domanda esiste un grande potenziale di riduzione delle emissioni (rappresentato dalla freccia verde nella figura qui sotto, mentre la gamma di potenziali più o meno alti riportati in letteratura è invece illustrata dalla linea verde). Queste riduzioni sono sostanziali soprattutto per i settori di uso finale: alimentazione – 44% di riduzione possibile con variazioni della domanda alimentare verso diete più sostenibili e una riduzione dello spreco alimentare, edifici e trasporti terrestri.

 

Fonte: IPCC AR6 SYR, 2023.

 

Le soluzioni di mitigazione e adattamento, se attuate in maniera integrata, possono portare ad effetti a cascata, questa volta sinergici, per esempio per quanto riguarda il nesso tra salute, miglioramento della qualità dell’aria e uso dei trasporti pubblici. 

 

In termini olistici e con uno sguardo agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs), non tutte le opzioni avrebbero lo stesso effetto per ogni popolazione e contesto geografico: nel breve termine alcuni compromessi vanno considerati. Per esempio, una transizione energetica giusta richiederebbe particolare attenzione a regioni e settori di impiego fortemente dipendenti dai combustibili fossili, che dovranno diversificare non solo le fonti di approvvigionamento energetico, ma anche le fonti di reddito precedentemente legate all’industria fossile.

 

 

Rappresentazione grafica dell’urgenza di un’azione climatica. Le linee che vanno dal verde al rosso rappresentano le traiettorie di sviluppo alternative, mentre nei due riquadri di destra stanno i risultati associati. Uno sviluppo “verde” ridurrebbe il rischio e supporterebbero il progresso sugli SDGs e la giustizia sociale, ma uno sviluppo sempre più “rosso” si associa alla degradazione ecosistemica e il “maladattamento”. Come illustrato, ogni traiettoria potrebbe essere messa in difficoltà da shock climatici e non (come le pandemie). Le traiettorie di sviluppo sono influenzate dalle traiettorie passate e dalle scelte di ogni stakeholder. Condizioni abilitanti per l’azione climatica (riquadro a sinistra) includono l’integrazione settoriale, una presa di decisioni inclusiva, l’integrazione di diverse forme di conoscenza, cambiamenti comportamentali e strutturali; condizioni vincolanti includono le povertà, la mancanza di investimenti, e un’azione frammentata. Fonte: IPCC AR6 SYR, 2023.

 

Come discusso, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici e i possibili trade-off dell’azione climatica vanno a toccare aree geografiche e persone già vulnerabili, marginalizzate, ed esposte al rischio. L’equità, la giustizia climatica e sociale, l’inclusione nei processi decisionali e una transizione giusta sono perciò aspetti chiave per una traiettoria di sviluppo resiliente. Essi richiedono programmi di protezione sociale e climatica e l’accesso alle risorse finanziarie, e strumenti regolatori basati sul consumo che favoriscano una riduzione dei comportamenti e degli stili ad alta intensità di emissioni risponderebbero alle richieste di una maggior giustizia climatica, in quanto sarebbero orientati prevalentemente a coloro che contribuiscono in maniera preponderante alle emissioni.

 

La finanza e l’innovazione tecnologica giocano un ruolo fondamentale, ma richiedono particolare attenzione. Infatti, anche se il capitale globale risulta sufficiente, esiste ancora un divario sostanziale fra gli investimenti attuali e quelli necessari per raggiungere gli obiettivi di adattamento e mitigazione. Ciò significa che sarebbe  necessario un re-indirizzamento dei flussi finanziari, volto anche a potenziare l’innovazione. Ciò aiuterebbe nel ridurre le emissioni, ma solo se avvenisse in una cornice politica che eviti l’effetto rimbalzo (più tecnologia uguale più emissioni nel lungo termine), i danni ambientali e la dipendenza dai Paesi fornitori di queste tecnologie.

 

Per tale motivo il rapporto di sintesi dell’IPCC si rivolge a chi ha il potere di prendere le decisioni, e che deve farlo in fretta: date le evidenze scientifiche, il presente e il futuro di un’azione climatica efficace sono nelle mani delle istituzioni e del loro impegno politico. Questo implica cooperazione e coinvolgimento internazionale, forte dell’attuazione di leggi, politiche, strumenti economici e meccanismi di governance multilivello coordinati fra scale geografiche e settori, inclusivi di saperi, conoscenze e stakeholders diversi.

 

2027la prossima valutazione dell’IPCC, la settima, non avverrà che dopo questa data 

 

Questo rende l’AR6 l’ultima grande chiamata alle armi “prima che sia troppo tardi”.

 

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