La Tassonomia verde europea non è verde
La Tassonomia verde europea, attraverso un complesso iter legislativo e politico, si ritrova a non essere più verde. C’è però un’ultima possibilità per salvare la sua credibilità e l’Italia avrebbe l’opportunità di giocare un ruolo chiave.
di Pietro Cesaro
Cos’è la Tassonomia verde?
La Tassonomia europea consiste in una lista di attività economiche che, a determinate condizioni, vengono considerate verdi dalla legislazione europea. Uno dei propositi iniziali durante la sua formulazione era quello di veicolare gli investimenti verso attività sostenibili. Un altro obiettivo era quello di evitare il “greenwashing”, ovvero creare un’ immagine ingannevolmente positiva di determinate attività economiche. L’Unione Europea sembra tuttavia aver deciso di cominciare a praticarlo. Nel febbraio di quest’anno infatti, la Commissione Europea ha pubblicato un atto delegato che include tra le attività verdi alcuni progetti di gas fossile e nucleare. A luglio, il Parlamento Europeo non ha posto il veto su tale documento. Il risultato è quindi che, a partire da gennaio 2023, gas fossile e nucleare potranno far parte di pacchetti di investimento considerati “verdi”, e tale decisione non farà altro che ritardare la necessaria transizione ecologica.
Ma perché la Commissione ha deciso di inserire sia gas che nucleare nella lista? Sembra che una prima spinta sia arrivata dalla Francia, che ha insistito nell’inserire il nucleare nella Tassonomia (basti vedere l’attuale mix energetico francese, composto da cinquantasei centrali nucleari, per comprendere la ragione di tale pressione). Una volta sentito l’aroma di baguette nelle stanze della Commissione, pare che i tedeschi pre-Scholz abbiano a loro volta cercato un accordo politico che prevedesse anche l’introduzione del gas nella lista verde. Che dire: merci e danke tante per questa improbabile baguette con würstel (o crauti, per vegetariani).
Che succede dopo?
Tralasciando i commenti della società civile a riguardo, che giustamente disapprova il nuovo formato sverdito della Tassonomia, l’amministratore delegato dell’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), che include tra i propri membri fondi di investimento come BlackRock, ha definito la proposta europea “deludente”. Stiamo quindi parlando di persone che hanno studiato la finanza e che utilizzano meccanismi capitalistici per generare ritorni sugli investimenti, non di fantomatici eco-nazisti prodotti dalla mente di santoni new age che scrivono canzoni in italiano.
Nonostante stia catalogando in modo sbagliato due attività che per continuare ad avere un ruolo nella transizione non hanno bisogno dell’etichetta verde, l’Unione Europea è tuttora considerata come capofila delle legislazioni di finanza sostenibile a livello internazionale. Questo atto delegato, quindi, oltre a deludere eco-nazisti e studenti di finanza, potrebbe avere un impatto importante e negativo ad effetto domino anche a livello globale. La Corea del Sud, ad esempio, ha etichettato il gas fossile come verde appena dopo la circolazione della prima bozza non ufficiale dell’atto delegato europeo attorno a gennaio. Il settore del gas australiano ha già cominciato le sue attività di lobbying per espandere le proprie attività utilizzando, come prova, l’atto delegato europeo. L’Inghilterra, che non è mai stata troppo entusiasta nel fare politica col vecchio continente, si scopre ora una potenziale fan delle decisioni europee sul gas “verde”.
La votazione di luglio al Parlamento era purtroppo l’ultima possibilità di correggere la proposta attraverso processi politici. Ora ci si può affidare solo a sfide legali, che tuttavia richiederanno diverso tempo. A metà settembre un gruppo di ONG, tra cui Clienth Earth e il WWF, hanno avviato un’azione legale allo scopo di richiedere la rimozione del gas dalla lista. Un altro gruppo guidato da Greenpeace ha invece richiesto di togliere anche il nucleare. La Commissione ha ora fino a ventidue settimane per rispondere.
Se rifiuta, le ONG potranno chiedere alla Corte di giustizia dell’UE di pronunciarsi riguardo alla possibile abrogazione. Anche stati membri come Austria e Lussemburgo hanno impugnato l’atto davanti alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo l’annullamento dell’etichetta verde per gas e nucleare. Altri, come Spagna e Danimarca hanno invece fatto sapere che potrebbero supportarli, ma per ora non è stata rilasciata nessuna dichiarazione ufficiale. Paesi come Germania (post-Merkel), Portogallo, Svezia, e Paesi Bassi infine, si erano esposti pubblicamente contro tale iniziativa durante il processo politico, ma non andranno in causa nel caso in cui quest’ultima venisse avviata da un altro stato membro.
Ma veniamo a noi
L’Italia, come da sua tradizione politica, fin da subito non si è schierata pubblicamente sulla questione. Ha supportato però, nei negoziati a porte chiuse tra i vari stati, la presenza del gas nella lista verde, attraverso “un sistema decisionale opaco e influenzato dagli interessi di poche imprese”, come affermato da uno studio del think tank italiano sul clima ECCO. L’obiettivo politico del governo italiano avrebbe invece dovuto essere quello di bloccare l’atto delegato, proponendo la creazione di una etichetta “ambra” per gas e nucleare, all’interno della quale si sarebbe potuto discutere in modo concreto di transizione energetica.
La Tassonomia infatti non si schiera pro o contro una attività, ma ne definisce semplicemente la sua sostenibilità definendola “verde” o meno. La mancanza di coraggio in tale processo politico, sempre secondo ECCO, comporterà un vantaggio solo per le poche aziende attive nel mercato del gas fossile e un problema per il resto della società. Abbiamo già visto gli extra profitti delle aziende energetiche: non sembra che il gas abbia bisogno di un’etichetta verde per continuare a generarne. Soprattutto in questo complesso periodo, sarebbe quindi il caso di identificare tutte le soluzioni energetiche al di fuori del gas senza schierarsi attivamente a suo favore, al fine di ridurre una dipendenza che si è rivelata a dir poco dannosa per le tasche di noi tutti e soprattutto dei meno abbienti, dato che il caro energia impatta, in termini percentuali, molto di più sui salari bassi. L’Italia come sistema paese non beneficerà di questa scelta politica pro gas, perché non abbiamo un programma nucleare come la Francia e perché il nostro sistema elettrico ha bisogno di spingere di più sulle rinnovabili e staccarsi dal gas.
Abbiamo, dunque, ancora una volta dimostrato di prendere poca iniziativa politica in ambito europeo, e di non voler scommettere abbastanza su energie rinnovabili e su un sistema industriale ed energetico decarbonizzato. Come dice Francesca Bellisai, policy advisor di ECCO, “porre gas e nucleare sullo stesso piano delle rinnovabili a livello di narrazione è problematico sia perché molti fondi privati che potevano essere indirizzati verso la transizione ecologica in Italia verranno diretti verso altri paesi europei, sia perché si crea confusione nei cittadini su quali soluzioni siano veramente utili per risolvere la crisi climatica in tempi brevi”. Con la decisione del Parlamento Europeo – tra l’altro supportata dai membri della nuova coalizione di governo, cioè gli europarlamentari di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – rischiamo di rimanere legati a doppio filo alle fluttuazioni del mercato del gas fossile e alle importazioni di energia nucleare.
Il voto italiano del 25 Settembre ha dato fiducia a questi tre partiti politici, che purtroppo, in tema energetico, guarderanno probabilmente all’est Europa e alle loro attempate politiche energetiche con troppo interesse. Ci sentiamo però di spostare l’attenzione da est a ovest, verso sole e venti iberici. Perché non cooperare con Spagna e Portogallo sulle rinnovabili, paesi con interessi energetici potenzialmente comuni all’Italia e begli esempi di aziende di energie rinnovabili? Una svolta del genere rappresenterebbe un’occasione per creare un gruppo di Stati UE mediterranei con interessi convergenti dal punto di vista energetico, che potrebbe rafforzare ulteriormente il ruolo strategico dell’Italia nel più ampio contesto dell’Unione Europea, soprattutto alla luce del vuoto lasciato dalla fuoriuscita del Regno Unito, della Merkel e di un Macron che non sa separarsi dal nucleare. Siamo sicuri che converrà parlare assiduamente soltanto con Orban per il bene delle nostre tasche? Yo soy Pietro, un votante, un hijo: no sé y no me lo pueden quitar.
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