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Dio salverà il mondo (dal cambiamento climatico)?

Dio salverà il mondo (dal cambiamento climatico)?

Spiritualità e teologie di fronte alla crisi climatica: le speranze del Papa per COP28

Alessandro Cattini

illustrazione di Viola Madau

 

Il 4 ottobre 2023 papa Francesco ha rilasciato l’esortazione apostolica “Laudate Deum(LD), un documento dal taglio motivazionale sulla “crisi climatica”, indirizzato “a tutte le persone di buona volontà”. Non è la prima volta che il Papa si occupa di ambiente: già nel 2015 l’enciclica “Laudato Si’” sulla “cura della casa comune” aveva fatto il giro del mondo appena in tempo per la ventunesima Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC); quella dello storico Accordo di Parigi per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

 

La pubblicazione di LD si colloca nella cornice di una strategia comunicativa simile in vista di COP28, che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Uscita pochi mesi prima della Conferenza, l’esortazione ha seguito l’adesione dello Stato della Città del Vaticano all’UNFCCC, avvenuta nel 2022, e ha anticipato di poco l’annuncio della presenza del Papa a Dubai. Nel documento Francesco afferma esplicitamente che “se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente” (LD n. 54). 

 

Questo accorato appello a non smettere di sperare offre l’occasione per riflettere sul ruolo delle religioni nella lotta al cambiamento climatico. Come possono le visioni spirituali del rapporto tra esseri umani, ambiente e divinità spronarci a perseguire azioni urgenti ed efficaci a beneficio del pianeta? 

 

Dati scientifici, metafore spirituali

Il campanello d’allarme che anzitutto dovrebbe spingerci ad agire subito per far fronte alla crisi, si legge in LD, è rappresentato dai dati scientifici sulle cause e sugli effetti del cambiamento climatico. Tra i fenomeni citati dal Papa vi sono le emissioni antropiche di gas serra, l’aumento della temperatura media globale, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, il raggiungimento di molteplici punti di non ritorno, e tanti altri. 

 

A molti sembrerà un’ovvietà, ma è significativo che questo monito giunga proprio dal capo di una religione che, nel corso della storia, è entrata spesso in conflitto con la scienza. In LD il Papa non solo fa riferimento alle ricerche del più autorevole consesso mondiale di scienziati del clima (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC), ma lascia che queste ultime informino la propria visione spirituale sul mondo. Il cambiamento climatico, che in “Laudato Si’” era rimasto sullo sfondo, viene qui menzionato quattordici volte in pochi paragrafi ed è connotato come “peccato strutturale” e “malattia silenziosa che colpisce tutti noi” (LD nn. 3, 5). 

 

Si tratta di metafore che hanno il potere di arrivare laddove i numeri non sempre possono. L’intento è di scuotere la coscienza del lettore, persino quella del più irriducibile negazionista, e di chi esprime “certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che – ammette il papa – trovo anche all’interno della Chiesa cattolica” (LD n. 14). Insomma, sembra dire Francesco, persino la teologia non può più prescindere dalle informazioni fornite dalla scienza. Perché la politica non reagisce a dovere? 

 

Riavvicinare Dio al mondo

Al centro della lettura che Francesco dà della situazione attuale vi è la consapevolezza che “tutto è collegato”, e che l’ideologia del “paradigma tecnocratico”, quell’approccio che considera valide solo le soluzioni tecnologiche di fronte ai grandi problemi del mondo, non è più sostenibile, perché non fa che “accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio” (LD n. 22). Come in “Laudato Si’”, dunque, anche in LD il Papa prosegue con la decostruzione di questa visione strumentale e predatoria della natura, che proprio la cultura occidentale cristiana ha fatto propria e diffuso per secoli. L’immagine che ci facciamo del divino, infatti, influenza in modo decisivo la nostra relazione con la natura, e viceversa, come spiega Whitney A. Bauman nel saggio “Theo-forming Earth Community. Meaning-full Creations” (Jenkins et al., 2017). 

 

Da un lato, se sposiamo l’idea di un Dio esclusivamente trascendente (cioè del tutto separato dalla realtà) e superiore a ogni cosa, non sarà un problema atteggiarci a padroni della natura. Prendendo per buona l’idea del filosofo Ludwig Feuerbach secondo cui “ogni teologia è un’antropologia” (cioè qualcosa che racconta chi è l’uomo prima ancora che Dio), dice Bauman, non è difficile vedere come la fede in un Dio di questo tipo rifletta le nostre aspirazioni di dominio sul mondo, legittimandole.

 

Dall’altro lato, oggi ci stiamo rendendo conto che la vita, la cosa più preziosa che abbiamo, dipende dal buon funzionamento delle connessioni delle creature fra loro e con l’ambiente. Ecco quindi che queste relazioni ecosistemiche si ammantano di sacralità, obbligandoci a riconoscere che “la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature” e che “noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (LD n. 67). Una visione più immanente del divino (cioè per la quale Dio non è del tutto separabile dal mondo materiale), può suscitare perciò un’etica più rispettosa del pianeta e dei suoi equilibri.

 

Riattivare la speranza 

Molte sono le tradizioni spirituali che, come quella cristiano-cattolica, stanno intraprendendo una riscoperta del proprio rapporto (così come di quello di Dio) con il cosmo, la natura e l’universo materiale (Macy & Brown, 2014). Molte sono state, inoltre, in questi ultimi decenni, le dichiarazioni e gli appelli diffusi dai leader religiosi, che, con lo stesso spirito di LD, chiedono ai politici di intervenire subito per arginare la crisi ecologica e climatica. 

 

A questo proposito, il già citato Bauman sostiene che il ruolo “politico” delle spiritualità ecologiche sia proprio quello di aprire spazi creativi e sperimentali dove elaborare speranze concrete, sogni condivisi e nuove architetture di significato per il futuro che ci attende. Certo, speranze, sogni e desideri sono trascendenti per definizione: una spiritualità che voglia dar loro valore non può prescindere dai concetti di alterità e futuro. In un mondo dove esistesse solo materia e tutto fosse già pre-determinato non potrebbe esserci alcuna ricerca di senso. Tuttavia, la vera speranza non può nemmeno essere scollegata dalla realtà, altrimenti sarebbe follia o, come ricorda Bauman (questa volta citando Bloch), semplice certezza.

 

Secondo questa visione, la speranza viene in soccorso all’incertezza, non alla rassegnazione. E poiché l’incertezza è parte integrante della nostra vita, l’oggetto della nostra speranza non può essere qualcosa di esterno al mondo, da ricevere passivamente, ma deve essere come un seme che, coltivato attivamente nel terreno delle nostre incertezze (Macy & Johnstone, 2021), germoglia e cresce a partire dalla realtà attuale attraverso nuovi percorsi evolutivi. Percorsi che possono persino condurre alla scoperta di nuovi legami tra spiritualità e scienza, e dove Dio e il cosmo non sono né completamente avulsi l’uno dall’altro (trascendenza assoluta), né si identificano perfettamente sollevandoci da ogni responsabilità (immanenza assoluta), ma sono coinvolti in una continua e dinamica compenetrazione reciproca che nell’umanità raggiunge la sua più chiara manifestazione (Panikkar, 2004).

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