Covid-19 e crisi climatica ci costringono a fare i conti con la nostra vulnerabilità
L’idea che le nostre vite potessero essere capovolte da un momento all’altro ci sembrava impossibile quattro mesi fa.
di Giorgia Carofiglio
Quando il telegiornale, i primi di gennaio, annunciava la scoperta di un nuovo virus in Cina, la mia reazione non è stata di sgomento o di paura. Come molti, ho ritenuto che non avesse nulla a che fare con me. Ho pensato, con una punta di fastidio, che si sarebbe ripetuto uno spettacolo già visto, fatto di titoli sensazionalistici, report dall’altra parte del mondo, interviste a esperti e complottisti. E nel frattempo le nostre vite sarebbero proseguite identiche.
Questo bias cognitivo (in psicologia, un errore sistematico di giudizio), che ci fa dire “è un problema altrui, non mio”, è altrettanto pronunciato quando si parla di cambiamento climatico. Crediamo che non saremo noi a soffrire le conseguenze peggiori del cambiamento climatico, che si abbatteranno invece su persone e luoghi distanti da noi. Nonostante questo bias ottimistico sia presente negli esseri umani senza distinzioni geografiche, un recente studio ha dimostrato che è decisamente più comune tra gli abitanti dei paesi industrializzati.
Siamo incapaci di immaginare cose di cui non abbiamo esperienza, che non abbiamo vissuto in prima persona. L’idea che le nostre vite potessero essere capovolte da un momento all’altro ci sembrava impossibile quattro mesi fa. Ora siamo diventati, a un costo altissimo, coscienti della nostra vulnerabilità. Ad oggi, il coronavirus ha causato in Italia più di trentamila morti e una contrazione del PIL di oltre il 5%. Se vogliamo essere pronti per la sfida del nostro secolo, quella contro il cambiamento climatico, dobbiamo assicurarci che questa coscienza diventi un elemento permanente del nostro immaginario collettivo.
Rana all’acqua pazza
Se buttate una rana in una pentola d’acqua bollente, la rana terrorizzata salterà fuori dall’acqua e si salverà. Ma se mettete la rana in una pentola d’acqua tiepida e alzate la fiamma a poco a poco, non se ne preoccuperà. Se continuate ad alzare la fiamma, la rana inizierà a sentirsi stanca. Con l’acqua un po’ più calda, perderà conoscenza. Così, senza nemmeno accorgersene, la rana finirà bollita.
Sono decenni che nuotiamo in acque letteralmente sempre più calde. Ma l’impossibilità di contemplare la nostra vulnerabilità ci ha reso, a livello collettivo, quasi incapaci di accorgercene. Neanche momenti recenti di rilevanza storica, dalla caduta delle Torri Gemelle alla crisi economica del 2008, sono riusciti a scuotere profondamente il nostro modo di vivere. Settant’anni di progresso tecnico e prosperità ineguagliata nella storia umana ci hanno convinto della nostra invincibilità. Ci hanno bloccato in un presente illusorio e in apparenza permanente, in cui niente cambia e niente può cambiare.
La distanza psicologica che avvertiamo tra noi e le conseguenze del cambiamento climatico è una delle ragioni per cui, a livello collettivo, abbiamo difficoltà ad agire per mitigarne gli effetti. La crisi climatica, a differenza di un virus, ha uno sviluppo a lungo termine, non si abbatte su di noi in maniera improvvisa, non ci prende alle spalle. A livello cognitivo, è spesso difficile collegare tra loro le conseguenze, assegnarle alla stessa causa. Eventi meteorologici estremi, invasioni di locuste, incendi sempre più estesi: è difficile comprendere che sono la manifestazione di uno stesso fenomeno complesso, non crisi separate.
Quando è arrivato il coronavirus, da un momento all’altro siamo stati buttati nella pentola d’acqua bollente. Con il virus in mezzo a noi, il nostro modo di vivere è cambiato drasticamente. È stato un cambiamento collettivo e sistemico: ha sconvolto la vita di tutti e modificato profondamente la nostra organizzazione sociale ed economica. Ma soprattutto ci siamo dovuti confrontare con una forza esterna contro la quale non abbiamo strumenti. Una forza di cui non abbiamo il controllo. Ci siamo scontrati con la realtà della nostra vulnerabilità, con la fragilità del nostro modo di vivere.
Se una rana viene buttata nell’acqua bollente e si salva, quando si troverà di nuovo in una pentola, anche se piena di acqua tiepida, sarà più percettiva al pericolo. Saprà che essere messi in pentola è rischioso, e si guarderà intorno per capire cosa sta succedendo. Il coronavirus è stato uno shock alla nostra percezione del pericolo: ha scosso la nostra certezza di essere sempre al sicuro, o sempre più al sicuro degli altri. Ha messo in dubbio un certo senso di invincibilità soprattutto occidentale, quella incapacità di immaginare cambiamenti drastici nel nostro modo di vivere. Non importa quanto complessa sia la crisi climatica: adesso sappiamo di non essere immuni a pericoli esterni. Sappiamo che le nostre vite dipendono da forze naturali più di quanto saremmo stati inclini ad ammettere.
Terapia collettiva
Presto, quando sarà tempo di ricostruire l’economia e le nostre vite, avremo l’occasione di farlo in una direzione nuova, rendendo la crisi climatica una priorità. Prima, però, dovremo fare i conti con la nostra vulnerabilità. Questo trauma collettivo andrà guarito, le ferite dovranno essere rimarginate. Sarà necessario resistere l’impulso, a crisi finita, di cadere in una retorica di vittoria, di dominio sulla natura – dire che “abbiamo battuto” il virus, abbiamo “vinto la guerra”. È un impulso del tutto umano: ci raccontiamo storie che ci rassicurano, perché riconoscere la nostra fragilità è una prospettiva terrorizzante.
Eppure, questo senso di vulnerabilità va coltivato. Non deve trasformarsi in panico, ma in capacità di relazionarsi in maniera più realistica con il pericolo, e in maniera più consapevole con il mondo naturale. Come quando si è in terapia, il trauma dovrà essere discusso. Dovremo affrontare a livello collettivo la realtà di essere stati in balia di un pericolo esterno, contro il quale non avevamo strumenti. Non dimenticare quanto questo virus abbia sconvolto le nostre vite, quanto ci abbia colto impreparati. Per sopravvivere, dovremo modificare la nostra visione del mondo, gli schemi attraverso cui comprendiamo la realtà.
Sappiamo già cosa dobbiamo fare per mitigare la crisi climatica. Quella che è mancata, fino ad ora, è la volontà. Il coronavirus ha fermato il mondo all’improvviso, rendendo visibili le inadeguatezze del nostro sistema economico e sociale. Ora possiamo modificare radicalmente il modo in cui viviamo e proteggerci dalla prossima crisi. Saremo più disposti a farlo se accettiamo di non essere invincibili.
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