Povertà energetica: affrontarla per una transizione giusta
Senza politiche sociali, raggiungere gli obiettivi della transizione energetica sarà sempre più difficile. Un approfondimento per capire perché la transizione dev’essere eco-sociale.
di Beatrice Ruggieri
I numeri della povertà energetica
Negli ultimi mesi, complici i forti rincari delle bollette di luce e gas, il tema della povertà energetica è tornato al centro dell’agenda politica nazionale ed europea, consentendo di espandere il dibattito su uno degli aspetti più problematici dell’accesso iniquo all’energia. Secondo la Commissione Europea, in Europa vi sarebbero tra i 50 e i 150 milioni di individui in condizioni di povertà energetica, ossia persone che hanno difficoltà o non riescono a riscaldare, rinfrescare o illuminare le proprie abitazioni in modo adeguato.
Una condizione che, in Italia, riguardava due milioni di famiglie nel 2020 (OIPE, 2021) e che, recentemente, ha visto aumentare questa cifra a più di tre milioni proprio a causa dell’impennata dei costi dell’energia (Fondazione Utilitatis, 2022). Nel resto del mondo, invece, l’International Energy Agency stima che più di un miliardo di persone siano in condizioni di povertà o deprivazione energetica sia per le difficoltà di accesso all’energia sia per la bassa qualità dei combustibili impiegati, altamente inquinanti e pericolosi per chi li utilizza.
Eppure, nonostante un legame piuttosto evidente tra vulnerabilità socio-economica e precarietà energetica, tale nesso è spesso sottovalutato o affrontato attraverso una politica tecnocratica che tende a ignorare le profonde questioni di (in)giustizia sociale ed ambientale che caratterizzano l’organizzazione dei sistemi energetici convenzionali (Samarakoon, 2019). In un contesto del genere, l’obiettivo di operare un cambiamento trasformativo di tali sistemi attraverso politiche e pratiche innovative si rivela una sfida molto più ambiziosa di quanto immaginato.
Povertà energetica: un problema sistemico
Il tema della povertà energetica è complesso, sfaccettato e multi-dimensionale. Ciò comporta, come sostiene l’EU Energy Poverty Observatory (EPOV), enormi difficoltà tanto nel definirla quanto nel misurarla attraverso un indicatore specifico. Secondo l’EPOV, istituito nel 2016 come predecessore dell’Energy Poverty Advisory Hub, vi sono infatti quattro indicatori principali – primary indicators – da utilizzare in combinazione con altri diciannove che vengono estratti da diverse fonti. Tra queste troviamo l’EUROSTAT e il Building Stock Observatory, fondato nel 2016 come parte del Clean energy for all Europeans package (2019) allo scopo di monitorare e rilevare in maniera sistematica i dati sulla performance energetica degli edifici in Europa.
Quello dell’efficienza energetica, infatti, è un aspetto cruciale da considerare nei discorsi sulla povertà energetica. Nel caso italiano, per esempio, l’edilizia residenziale pubblica è costituita da edifici costruiti prima degli anni ’80 le cui caratteristiche strutturali li rendono poco efficienti dal punto di vista energetico, facendo sì che chi vi risiede debba consumare molto più per riscaldare e rinfrescare gli ambienti, andando potenzialmente incontro a problemi di povertà energetica qualora non fosse possibile sostenere i costi elevati dell’energia fossile (Vurro et al., 2021).
Complice l’impatto della crisi economica, della pandemia e dell’aggravarsi della crisi climatica, la condizione di vulnerabilità energetica strutturale in UE è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni, incrementando soprattutto l’esposizione al rischio per le popolazioni dei paesi Mediterranei e dell’Est Europa (Oliveras et al., 2021a).
Così come le cause, anche gli impatti della povertà energetica sono molteplici. In particolare, gli effetti sulla salute fisica e mentale sono tra i più diversificati e, oltre a variare da un punto di vista geografico, mutano a seconda dell’età e del genere. Bambini e anziani sono i più colpiti: i primi con gravi conseguenze sulla salute mentale, sui livelli di asma e sovrappeso (Oliveras et al., 2021b), i secondi con difficoltà respiratorie, problemi di ipertensione e cardiovascolari e l’aggravamento di sintomi depressivi (de Vries, Blane, 2013).
Un aspetto ancora sottostimato, invece, è quello legato all’impatto della povertà energetica sulle donne, ancora oggi maggiormente toccate da un accesso iniquo all’energia rispetto agli uomini come mostra un rapporto dell’UE pubblicato nel 2017. Stando ai criteri economici, biologici e socio-culturali impiegati nello studio, infatti, le donne risultano più suscettibili ai problemi di fuel poverty rispetto alla corrispettiva componente maschile, essendo ancora sproporzionatamente responsabili del lavoro di cura e avendo bisogni energetici differenti da soddisfare.
Inoltre, si stima anche che le possibilità di partecipare ai processi decisionali sul tema energetico sia ancora segnato da un netto squilibrio di genere, facendo sì che le donne siano meno rappresentate nei contesti ufficiali. Dunque, se la lotta alla povertà energetica è una delle priorità identificate dall’UE per consentire una transizione energetica giusta e inclusiva, sarà quanto mai necessario includere la dimensione di genere nelle politiche ambientali e sociali dei prossimi anni. Inoltre, proprio per il fatto che la povertà energetica si lega a diversi aspetti non sempre facilmente rilevabili, occorre che la ricerca adotti prospettive di indagine sistemiche al fine di evitare il rischio di invisibilizzare questioni importanti e urgenti riproducendo, quindi, disuguaglianze e ingiustizie.
L’energia di comunità è il futuro
Nell’ambito delle proposte politiche per affrontare, tra gli altri, il problema della povertà energetica, la scelta di incentivare progetti di comunità energetiche rinnovabili fondate sul principio di un’energia di comunità sia a livello europeo sia sul territorio nazionale è un segnale importante. Questa tipologia di gestione distribuita e collettiva dei sistemi energetici costituisce uno degli assi portanti della strategia di transizione europea verso una trasformazione del concetto stesso di energia, progressivamente intesa come diritto e non più come semplice commodity.
Realizzare una comunità energetica o un sistema di autoconsumo collettivo consente di ridurre la spesa energetica famigliare, di redistribuire i ricavi per la cessione del surplus energetico alla rete e monitorare e ottimizzare i propri consumi, incrementando di pari passo anche la cultura energetica pubblica e privata.
Inoltre, il potenziale delle comunità energetiche rinnovabili è enorme non solo in termini di lotta alla povertà energetica e al cambiamento climatico ma anche per la dimensione di innovazione sociale che da queste nuove forme di gestione dell’energia può scaturire, diffondendosi rapidamente e interessando ulteriori ambiti oltre a quelli strettamente energetici. Alla base di una comunità energetica rinnovabile, infatti, troviamo principi di cooperazione, solidarietà e mutuo aiuto, preziosi per garantire un processo di decarbonizzazione dagli esiti trasversali e dai benefici sul lungo termine.
Parlare di transizione energetica, dunque, significa innanzitutto chiedersi come questo processo sarà articolato, quali sono i pilastri su cui si fonda e chi è che realmente potrà parteciparvi in modo attivo, democratico ed equo. Lo sviluppo di una cittadinanza energetica in grado di intervenire in modo efficace sulle dinamiche di trasformazione dei sistemi energetici è una possibile risposta all’innesco del processo di Just Transition.
Questo, tuttavia, richiede tempi, risorse e investimenti non sempre in linea con le priorità delle politiche economiche, ambientali e sociali pensate per riorganizzare le società high-carbon. A tal proposito, è presto per dire se il Green Deal europeo sarà in grado di raggiungere gli obiettivi di una transizione pensata per non lasciare “no one behind”. Ciò che per ora emerge piuttosto chiaramente è l’assenza di riferimenti a politiche che vadano oltre i principi e i valori della crescita verde, facendo così sorgere molteplici interrogativi legati alle reali possibilità di operare un cambio di paradigma economico che vada a contrastare gli effetti di una crisi climatica e sociale sempre più allarmante.
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